giovedì 6 dicembre 2012

L'era del cidipanettone d'autore

Fino a due anni fa non potevamo fare a meno di vedere o schifare chi andava a vedere il cinepanettone. Con il prossimo film, de Laurentiis ha definito una nuova strada anche perché la realtà ha superato gli sceneggiatori. Addio (arrivederci) agli sputi negli occhi e alle lingue sovraesposte e vai con un’esplosione di finta protoborghesia dell’Italia in crisi.
Per fortuna il cinepanettone è stato rapidamente sostituito da un altro prodotto ad hoc: il cidipanettone d’autore. Nello spazio di pochissimo tempo sono usciti i nuovi dischi di Battiato (Apriti sesamo), Guccini  (L'ultima Thule) e De Gregori (Sulla strada) e non può essere un caso astrale.
In Italia, non è una novità, comprano i dischi solo chi è fanatico di suo o chi vuole appioppare il regalo da fanatico a qualcun’altro. E quale migliore periodo del Natale?
Quello che ho scritto non è tutta sta notizia in sé, però... La cosa particolare è che tre guru della nostra canzone di autore hanno realizzato un album per le feste. E se è ovvio che tutto è in mano al commerciale, perchè dirci in tv e stampa che il nuovo album è figlio di un’ispirazione che ha avuto come traguardo artistico questo particolare momento storico (dell’anno)? Non sarebbe meglio metterci un bel fiocco rosso sul pack e dire che a Natale è meglio ascoltare me che l’altro?

sabato 5 maggio 2012

Il Cile ha fregato Le luci


Qualche settimana fa si scriveva della ormai attesa trasformazione de Le luci della centrale elettrica. Si diceva tra noi che il trascinante e anarcoide brano disteso nei primi due album doveva diventare qualcos’altro per non restare nella mente come lunga nenia per addolorati. L’ipotesi era riportare rabbia e carezze di parole veramente popolari nella sfera dei sentimenti personalistici (termine forse negativo ma è un percorso possibile), scrivere canzoni dell’amore d’oggi, mai tanto buio e però sferzato da venti di piccole meraviglie.
Prima che lo facesse Vasco, la palla l’ha presa al volo il Cile, ragazzo che ha ascoltato la musica di questi ultimi cinque anni e ne ha impastato una canzoncina (Cemento armato) addirittura da radio (e quell’addirittura non vale per l’armonia del pezzo, orecchiabile all’accesso, ma per l’effetto meteorite che provoca).
Ovviamente Le luci non avrebbero mai scritto “Cemento armato” ma il Cile con il pezzo ne ha trafugato un tassello di futuro possibile e ha messo in campo un modello da cui è necessario adesso distanziarsi.
Ora bisogna scrivere musica più densa e parole più forti di Cemento armato per non cadere nello stereotipo.

domenica 22 aprile 2012

Giancarlo Bigazzi feat. Aldo Nove

Fare la biografia di un genio, di una persona il cui meraviglioso universo non è mai manifesto, mi è sempre sembrata una boiata, un discorso comunque monco. Nella psiche dei comuni si costruiscono volute e piani incantati, realizzabili e raccontabili in parte, ma raccontare quello che passa per la mente e nella vita dei geni è francamente un esercizio misero. Nessuna soluzione? Aldo Nove forse l’ha trovata, scrivendo la biografia di Giancarlo Bigazzi, “Il geniaccio della canzone italiana” (Bompiani), miscelando in un discorso senza cesure storie di vita, aneddoti, descrizioni di atteggiamenti, pensieri, riflessioni storiche, considerazioni sociali, riflessioni personali e citazioni, il tutto per parlare di un uomo che senza arte né parte che ha inventato un’arte e ha assunto una parte importante nelle vite di tutti.   I rimbalzi dalla poesia al saggio sociologico, dal romanzo alla critica storica entrano a pieno titolo negli stili della scrittura contemporanea di cui Aldo Nove è maestro e alunno (questa è la grande novità della grande scrittura contemporanea: continuare a proporre stili e mondi nuovi in libri per forza di cosa diversi ma coerenti). E l’aver costruito con questo stile un racconto della vita di Giancarlo Bigazzi amplifica il modello e lo rende perfetto. Quello che era necessario, e che si ritrova nel libro di Nove, è il concetto di flusso. Raccontare di qualcuno che ha pensato e creato la canzone da mare anni ’60, la controffensiva demenziale e controculturale degli anni ’70 e la new wave melodica degli ’80 mette di fronte ad un bivio: sezionare tutto e approfondire per temi oppure sviluppare un unico flusso indistinto e cangiante? Nove ha scelto il secondo modello, azzeccando.

domenica 25 marzo 2012

Intervista a Diego Mancino - Aspettando È necessario

Diego Mancino è un’artista senza limiti. Intervistarlo è stato appassionante. Il 3 aprile uscirà il suo nuovo album. Il titolo è “È necessario”. Leggete l’intervista per capirne il senso.

Diego, inizierei con una domanda secca. Ad oggi crei più facilmente per te o per gli altri interpreti?
Non fa nessuna differenza per me. Scrivo per passione e soprattutto mi diverte molto costruire canzoni. Lo scrivere per me è un momento di gioco e liberazione. Scrivo anche cantando e faccio fluire tutto me stesso all’interno del brano. Si cantano quelle rime scritte come se fossero la tua stessa bandiera, la tua verità incrollabile. L’unica cosa sicura è che le canzoni che scrivo sono quelle che mi fanno dannare per giorni interi, alle quali poi mi affeziono.

Hai una particolarità autoriale molto specifica. Quello che crei per un interprete è sempre molto diverso da quello che realizzi per te o per un altro. Come spieghi questa tua capacità adattiva e camaleontica?
Non credo sia vero. Le mie canzoni per altri sono tipicamente mie. Bisogna poi tenere presente che io scrivo le canzoni ma poi ci sono i produttori e loro usano la sega elettrica.

Ho un’idea su molte delle tue canzoni. Più che ispirarti al cantautorato o alla poesia, ti ispiri all’arte. Un esempio che mi viene in mente è la ricerca dell’universale amoroso che c’è dietro “Tutte le distanze”, riscontrabile ad esempio in alcuni quadri di Matisse (infatti ad un certo punto scrivi, riecheggiando “La Danza”: misurerò l'abbraccio / che tutti ci contiene / e contiene l'universo). Può essere giusta questa idea?
Sono felice di queste considerazioni. L’arte mi ispira e anche la vita degli artisti. Opere in movimento, ecco quello che hanno creato molti artisti. Cercando linguaggi e visioni, a volte divento totalmente servo di questo impulso, cercando di essere un’antenna, ricevo segnali e li ritrasmetto.
Mi piace la poesia, è per me una lingua che capisco e mi fa sentire meno solo. Invece i quadri mi isolano, mi fanno sentire disarmato, per questo li amo e li temo. Per fortuna da tutta l’arte traiamo nutrimento. Nel mio ultimo disco ad esempio sono stati i quadri di Daniel Egneus ad aprire milioni di finestre nel mio quaderno.

Una tua scelta stilistica precisa si riferisce alla descrizione dei grandi moti dell’animo attraverso flash molto tangibili, direi”fisici”. Un esempio potrebbero essere le parole: “L’amore è un sasso”. Quello che cerchi nelle tue canzoni e far vedere il sentimento?
Rendere fisiche le cose immateriali è un mio modo di scrivere, dare corpo ai sentimenti è un modo per ricreare un mondo immaginario. Questo è quello che fanno le canzoni, dichiarando un’identità, una nazione immaginaria, ci emancipano dall’oltraggio di un futuro migliore, per rivendicare il dominio sull’oggi soltanto. Siccome le parole possono diventare palazzi immateriali, li puoi abitare ma non puoi bombardarli. Allora vale la pena di provare a costruire città immaginarie.

Una canzone a cui bisognerebbe legare l’aggettivo/concetto di postmoderno è “Strana l’estate”, in cui metti insieme immagini tradizionali della canzone d’amore estiva, citazioni, slang e nuovi modelli, collegando tutto con un filo rosso che riesce a dare un sensazione di novità. Che ne pensi di questa canzone?
La ricordo con molta tenerezza perché rievoca ricordi che adesso mi sembrano lontanissimi. Io sono molto cambiato. Postmoderno è anche il mio ultimo disco, perché sono partito proprio da canzoni come Strana l’estate.

Per Renga, in occasione di Sanremo 2012, hai co-partecipato alla creazione di un’aria contemporanea, piena di pathos e altezze. Cosa ne pensi di questa canzone?
È una canzone bellissima, che mi ha dato la possibilità di lavorare con nuovi musicisti e compositori, come Dario Faini, col quale per Francesco abbiamo scritto anche “Senza sorridere” e altre canzoni. Lo stesso Francesco Renga è un ottimo cantante col quale non avevo mai lavorato. Ti confesso che quando sono a casa ascolto la versione cantata da me. Un giorno, senza dirglielo, gli faccio un agguato. Salgo sul palco e la canto.

Per finire, nel tuo prossimo futuro cosa vedi? Un impegno più intenso sulla tua parabola artistica o la messa a frutto della tua capacità di modellare perfettamente per gli altri?
Non vedo separazione. Io non sono diverso quando scrivo per gli altri o per me, è tutto parte della mia stessa urgenza espressiva, è il mio posto nel mondo, non ne conosco altri. La mia curiosità mi spinge a confrontarmi molto volentieri con chi è diverso da me. Io voglio imparare da chi più bravo e siccome mi sembra che tutti lo siano, ho una curiosità infinita e infinite strade da percorrere. Ad ogni modo, se diventerà noioso e patetico, ho dato mandato ad una persona di sopprimermi.

giovedì 15 marzo 2012

Il corteo di Celentano

Ma in questa canzone di Celentano, il coro non vi sembra un corteo degli anni '70 che urla slogan? Bella idea.

domenica 11 marzo 2012

Arisa - Come si costruisce una campionessa

Arisa è un progetto nuovo dal sapore antico, iniziato e portato avanti su due elementi che in Italia difficilmente hanno corso paralleli: qualità e immagine. Chi in Italia ha messo insieme questi due mondi, distanti spesso in un progetto d’artista, sono tutti campioni affermati e “storici”: ed è verso di loro che corre Arisa.
Della proposta sanremese, “La Notte”, abbiamo già scritto in altri post e ribadiamo: canzone profonda che voleva dimostrare al “pubblico pubblico” del cambio di rotta: da personaggio con impronta jazz a interprete totale da ascoltare senza canticchiare.
Ma è con l’album “Amami” che si comprende bene il progetto di campionessa che è dietro Arisa.
Canzoni come “Amami” (canzone che evidenzia grandi capacità di scrittura da parte della stessa Arisa), “Il tempo che verrà”, “Ci sei e se non ci sei”, “Si vola” sono tutti pezzi dal grande impatto armonico con parole che vengono dall’Arisa che conosciamo ma si aprono ad una prospettiva nuova.
L’Arisa (Giuseppe Anstasi) delle sue canzoni più famose aveva un vezzo stilistico che emergeva forte: inserire nei punti di svolta delle canzoni termini astratti che difficilmente si ritrovano in altri pezzi soprattutto di giovani artisti. Un esempio sono le parole “Sincerità”, “Elemento imprescindibile”, “Orgoglio”, “Tristezza”, “Astuzia” disseminate in canzoni come Sincerità" e “Pace” che fanno da elemento catalizzatore di senso dell’intero sviluppo del pezzo.
Nei testi dell’album “Amami”, Arisa parte da questo suo elemento differenziante ma arricchisce il vocabolario di termini molto più semplici e quotidiani, che sono poi i veri e propri perni della storia della canzone italiana: su tutti la parola “cuore” che rima in “ore” ad esempio con “rumore”, oppure gli “occhi”, “le notti”, “i baci”.
E questa piccola sterzata sui testi, appaiata a quella d’immagine, ha posto le basi prima di tutto per un grande successo dell’album, da cui possono venire fuori almeno quattro singoli da ascoltare per mesi interi anche in radio, e successivamente ha mostrato la strada che l’artista Arisa percorrerà nei prossimi anni verso la completa consacrazione di interprete assoluta nel panorama italiano.
P.S. Lo zampino del grande Mauro Pagani si vede.

giovedì 8 marzo 2012

Intervista a Roberto Casalino

Roberto Casalino è l’autore del momento. L’amore e le sue tante espressioni in parole che riescono ad essere sempre nuove per interpreti molto diverse.

Roberto in un 2011 da favola hai scritto, tra le altre, “Diamante lei e luce lui”, “Ti capita mai” e “Distratto”. L’anno della tua esplosione totale come autore di punta della musica leggera italiana?
Il 2011 è stato un anno importante e ricco di soddisfazioni, che ha portato nuove canzoni e nuove ispirazioni. Non parlerei di “esplosione totale”, quanto semplicemente di un tassello in più nel mio percorso artistico e umano.

Nei tuoi testi la descrizione dell’amore non è mai la stessa. Da dove parte questa capacità di parlare dell’amore nelle sue tante dimensioni?
Attingo alle mie esperienze personali, che osservo ogni volta da una prospettiva e angolazione diversa, per coglierne sempre un particolare nuovo. È come se, a rotazione e a seconda del mio stato d'animo, mettessi in ombra alcune scene e in luce altre. Ogni canzone porta a galla una parte di me fino ad allora sconosciuta: spesso un testo o una melodia che scrivo mi tornano indietro con una forza travolgente, quasi a sbattermi in faccia certe verità fino ad allora nascoste o semplicemente ignorate per soffrire meno o gioire meno.

Oggi l’artista viene fuori da un percorso molto diverso dal tuo. Noti differenze nella capacità delle tante artiste con cui collabori per quanto riguarda la gestione del loro ruolo?
Ognuno ha un proprio percorso: il mio nasce nella mia camera, per passare poi alla sala prove con la band e poi ai locali dove ho suonato dall'età di 16 anni, proponendo prima cover e poi solo brani inediti. I tempi sono cambiati e i ragazzi di oggi si adeguano alle opportunità che hanno in questo preciso momento storico, dove il talent show è il mezzo più veloce per giocarsi le proprie carte. Una cosa, però, è rimasta immutata: puoi anche avere la tua grande possibilità, ma va avanti chi dimostra di avere davvero talento. Il colpo di fortuna è necessario e ha la sua importanza, ma una volta che la fortuna passa bisogna essere in grado di rimanere a galla.

La canzone per quella particolare artista nasce da un tuo desiderio o da una programmatica analisi del come far evolvere una carriera?
Difficilmente scrivo su commissione: magari ti viene chiesto un brano per un interprete piuttosto che per un altro, però personalmente lascio fluire le mie emozioni senza imposizioni. Scrivo senza chiedermi se quella canzone alla fine la terrò per me, per il mio progetto cantautorale o se decido di metterla a disposizione di altri.

Per me il tuo testo più nuovo è “Diamante lei e luce lui” per Annalisa Scarrone. La metafora che regge la canzone esplode in un ritornello di piena musicalità, traboccante di una visione dell’amore che sulle parole tronche naviga una meraviglia fino ad arrivare al porto sicuro e quasi sussurrato del Per Sempre, per sempre. Cosa pensi di questa canzone e qual è per te la canzone che più ti rappresenta in questa fase?
“Diamante lei e luce lui” è nata di getto, scritta per la mia migliore amica e per il suo compleanno. Io chiamo lei “il mio diamante” e lei mi definisce “la sua luce”: ho dato voce a un profondo sentimento autentico e dalle diverse sfumature, date dagli anni che ci legano...e sono tanti. Non ho una canzone che mi rappresenta maggiormente in questo periodo. Direi che ogni canzone scritta ha in sé qualcosa che mi accompagna sempre, nel corso degli anni e delle esperienze che faccio. Dopotutto una canzone è un fermo immagine di un preciso istante, che non viene dimenticato e si aggiunge al tuo percorso personale. Oggi sono il risultato di tutte queste canzoni... e non solo...: domani sarò altro da oggi.



Da un “Per sempre”, all’altro. Per Nina Zilli hai messo mano ad una canzone che ho definito mineggiante. Sei d’accordo?
Nel mio background musicale c'è tanto del cantautorato italiano ed è naturale lasciarsi influenzare da quanto fa parte del proprio DNA. La definizione “mineggiante” di “Per sempre” è veritiera, soprattutto perché ricorda le atmosfere interpretate da una delle più belle voci che abbiamo nel nostro Paese. Ma al di là delle definizioni, “Per sempre” ha una sua identità, un suo messaggio preciso, una sua motivazione di esistere. Ha lo scopo semplice (ma mai ovvio e dato per scontato) di arrivare al cuore della gente per dire loro che forse nulla è per sempre, ma che possiamo permetterci il lusso di illuderci e di credere che lo sia.

Anche per questa canzone un passaggio da sottolineare: alla fine del ritornello, scrivi una frase secondo me eccezionale: “Perché l’orgoglio in amore è un limite/Che sazia solo per un istante e poi/Torna la fame”. Saper muovere parole così vere in una canzone che vuole far entrare l’interprete in un canone “classico” è il tocco che la rende speciale. Che ne pensi?
Non mi chiedo mai quale sia la direzione delle mie parole: le uso, le modello a mio piacimento e cerco di trovare sempre il giusto accostamento che renda l'idea dell'immagine che in quel momento sto osservando dentro di me. La frase che hai citato è il fulcro del brano e ricordo ancora che è venuta da sé, senza pensarci. Quando scrivo lascio sempre in modalità “rec” il supporto su cui appunto le mie idee, perché credo fortemente in quello che viene definito “stream of consciousness” (il flusso della coscienza): quando non ci sono argini, le parole ti assalgono.

Ultima domanda: il tuo futuro da autore avrà un allargamento di tematiche?
È come se mi chiedessi: sai cosa accadrà domani nella tua vita? Io racconto quello che sono, senza trucchi e inganni, per cui le canzoni di domani affronteranno le tematiche di ciò che sarò domani. Ma una cosa è certa: l'Amore è il fulcro della mia vita, per cui non credo ci saranno tematiche diverse, semmai diverse sfaccettature di questo bel sentimento che tanto mi fa star bene quanto stare male.